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Achille Bonito Oliva

dal catalogo Antonio Pedretti, Azzurro Amazzonia, 2001 edizioni Torcular
 

L'occhio fotografico e quello pittorico per definizione, tendono sempre a sezionare il reale, a sottrarre dal suo insieme un dettaglio per inquadrarlo e fermarlo nel proprio istante iconografico. La pittura e la fotografia producono un linguaggio che sembra ben attagliarsi ai caratteri storico-sociali della nostra epoca. Fine secolo e nuovo inizio sono infatti tuttora segnati dalla perdita di totalità del senso, per la caduta del grande racconto e dunque l'impossibilità di uno sguardo sul mondo a trecentosessanta gradi. Tutto slitta sotto il nostro passo e le distanze sembrano sempre più ridursi sotto l'incalzare di un progresso tecnologico che sviluppa contatti e imprevedibili avvicinamenti. Ancora una volta il nomadismo culturale si conferma come trend costante che accompagna la produzione artistica degli ultimi anni, caratterizzata dal multiculturalismo, transnazionalità e multimedialità. Alla globalizzazione dell'economia l'arte risponde col dinamismo del proprio linguaggio aperto alla contaminazione dei generi, assemblaggio dei materiali, riconversione e destrutturazione. Arthur Omar nelle sequenze fotografiche di "Azzurro Amazzonia" presenta le prove di uno sguardo su un continente lontano dall'occidente, diversamente animato e culturalmente portatore di altri valori. Il nomadismo del fotografo produce l'esito felice di immagini, capaci di dimenticare a memoria ogni superbia totalizzante e l'inevitabile logocentrismo di una cultura, quella occidentale, che tende tutto ad assimilare e poco a rispettare. Arthur Omar depone volontariamente gli occhiali totalizzanti di una visione a trecesentosessanta gradi, dispone il suo occhio verso un'attenzione capillare capace di cogliere la complessità del dettaglio e l'universo indistinto che lo circonda. Nel suo carattere eclettico l'opera di Antonio Pedretti coniuga nel proprio processo creativo un carattere trans-pittorico, l'intreccio tra figurazione ed astrazione, narrazione ed ornamentazione. Ogni quadro e ogni fotografia diventano come un taglio di visione, un flash che squarcia il nebuloso orizzonte di un continente indistinto e sovraffollato. L'occhio fotografico penetra dentro il ventre molle di una sconfinata geografia e coglie movimento e splendore, miseria ed architettura, sovrappopolazione ed indifferente solitudine. La fotografia è proprio il deposito iconografico di immagini mai statiche, sempre supportate dal sospetto di un vagabondaggio per soprannumero di una popolazione che sembra spostarsi da un nulla verso ad un altro nulla. Ma non perché non esista storia, piuttosto in quanto tale storia viene assimilata alla natura, lasciata ai colpi del tempo, sottoposta ad una decadenza non vissuta come perdita bensì come appartenenza ai cicli naturali. In Pedretti l'indistinto è proprio questo, la figurazione che sfuma verso l'astrazione, la vita verso la morte, il corpo verso i fumi delle pile innalzate per le cremazioni. Il pittore non documenta necessariamente tutto questo ma riesce a creare nelle sue superfici un campo di sospetti visivi in cui non prevale la contrapposizione ma piuttosto l'intreccio e l'integrazione. Nomadismo culturale ed eclettismo stilistico, dunque, si mettono a servizio di una poetica comune mai frontale al mondo od oppositiva alla realtà. L'Amazzonia viene circumnavigata da uno sguardo che si mette in circolo ed assedia morbidamente il paesaggio, intrigo di alberi e spostamenti sull'acqua. La fotografia sembra come scattata non dalla terraferma bensì da un punto di galleggiamento sul continente, modellatosi sotto i colpi di un'antropologia culturale che non ha mai depredato la natura ma ha cercato sempre un rapporto di scambio con essa. Come l'Amazzonia frutto di scambio tra natura e cultura, di un passato che precipita sul presente come una pianta carnivora a lenta masticazione, così adotta anche Pedretti lo scambio come valore produttivo dell'immagine. L'occhio sensibile della pittura occidentale perde intenzionalmente la propria neutrale forza cristallina, adotta una sorta di sguardo ad occhio nudo che della fotografia conserva in ogni caso senso della distanza, taglio dell'immagine, necessità dell'inquadratura e rispetto della profondità. La riproducibilità meccanica del mezzo fotografico viene utilizzata dall'artista per moltiplicare uno sguardo non semplicemente emozionale. Qui lo sguardo produce linguaggio e nuova pittorica iconografia, flessibile visione di un mondo che chiede flessibilità e mai rigida frontalità. Il carattere soggettivo di queste immagini ci permette di adottare il prefisso trans davanti al sostantivo fotografico e pittorico, che si nutre di una micro sensibilità senza epica o pathos della scoperta. Arthur Omar e Pedretti evidentemente portano fino a noi le prove di una lunga frequentazione con la geografia culturale della foresta amazzonica. Accettano di spossessarsi di ogni cinica posizione etnologica, pronti a restituici l'iconografia di un aggancio piuttosto che di una descrizione puramente distanziata. Lo sfumato è un tratto cromatico che il fotografo ed il pittore adottano per dare amalgama ad ogni immagine che acquista un movimento circolare, dunque non lineare, dalla figurazione all'astrazione, dalla vita alla morte e viceversa. Azzurro Amazzonia è tutto questo e anche il sodalizio di un viaggio creativo e geografico di due artisti. Il movimento della forma determina questa qualità costitutiva dell'arte, quella di rivolgersi a qualsiasi universo preesistente di immagini, di credenze e di alterazioni spirituali, e nello stesso tempo incunearle dentro la forza centrifuga del linguaggio che le fa risaltare attraverso l'elaborazione di una forma inedita. L'intensità del risultato determina il passaggio dell'opera quando si sfiorano i profondi problemi strutturali della vita e della morte, alla spiritualità dell'arte che sottrae l'iconografia ad aspetti geografici rompendo la convenzione visiva attraverso l'immagine rinnovata della ricerca linguistica, pittorica e fotografica. Dalle avanguardie storiche alle neoavanguardie, dalla transavanguardia all'ultima produzione artistica, quando l'arte ha affrontato l'iconografia della natura l'ha fatto non in termini iconoclasti, dunque contenutistici, ma con spirito e religiosità laica fondata su una coscienza del valore della forma rassicurante, quella che ci fa parlare di arte ecologica. La coscienza dell'artista contemporaneo di essere egli artefice della nuova realtà linguistica nasce dalla consapevolezza di essere il frutto di una creazione che sfiora la Creazione, quale soggetto di un arbitrio visivo non assolutamente preesistente al suo intervento, Omar o Pedretti. Certamente il bisogno della creazione nasce da un desiderio di immortalità che determina la necessità di lasciare un segno racchiuso in una esemplarità capace di sfidare l'irresistibilità del tempo. In questo senso l'arte sfida la morte e assume la cadenza di un conflitto che non riguarda la mondanità bensì una profonda esigenza. Forse è anche il segno di un riconoscimento profondo di ogni precedente creazione: il microcosmo dell'opera contro il macrocosmo dell'universo. Da qui anche la persistenza di quest'arte che resta una profonda esigenza dell'umanità. Soltanto la perfetta completezza della forma permette di fondare l'ecologia dell'arte, una delle ultime forme di spiritualità dell'uomo moderno, dopo la teologia di tante impossibili rivoluzioni succedutesi nel corso dei secoli. Arthur Omar e Pedretti sono dunque artefici, operano sui materiali depositati dentro la loro coscienza, nel magma di una sensibilità che affronta la prova elaborata dell'opera, del risultato compiuto, il solo capace di garantire lo statuto demiurgico. Artista e fotografo sulla scia dell'arte moderna, dal Manierismo in avanti, hanno spento la terribilità rassicurante del linguaggio ed acquisito il legittimo fine della durata.

Achille Bonito Oliva 

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